Dark pattern: come riconoscere le tecniche ingannevoli delle aziende online

Non avevamo una chiara definizione di “dark pattern”, ma sapevamo delle tecniche al limite della legalità di molte aziende online. Quando state per acquistare un biglietto aereo e trovate improvvisamente un conto molto più salato di quello che avevate calcolato (selezione del posto, bagagli, cose simili). Quando non riuscite a trovare facilmente il modo di cancellare un abbonamento a un servizio. Quando cliccate su pubblicità che hanno esattamente l’aspetto di contenuti legittimi e informativi. Eccoli, i dark pattern.

Harry Brignull è diventato il nostro eroe per aver fondato il sito darkpatterns.org in cui svergogna pubblicamente diverse compagnie aeree, società di internet e altro ancora per via di queste pratiche ingannevoli. Si tratta di tecniche collaudate che influiscono il design di un sito web e hanno come obiettivo ottenere più soldi del necessario da un utente del sito, che sia attraverso l’up-selling, il cross-selling o con veri e propri trucchetti. Spesso si ottengono questi risultati utilizzando un gergo poco comprensibile, o costruiscono le frasi che compaiono in maniera confusa. Addirittura, arrivando a bullizzare l’utente: quante volte vi è capitato di vedere un pop-up che vi propone un’offerta incredibile e l’unica maniera per eliminarlo è stata cliccare sulla frase «No grazie, non mi piacciono le offerte»?

Avete presente le email di LinkedIn che vi invitano a iscrivervi al servizio, come già un vostro amico ha fatto? In questa maniera otterrete un network lavorativo ampio e in grado di offrirvi mille opportunità!, dicono le email. Non prendetevela troppo con i vostri amici: il design di LinkedIn è studiato per spingere gli utenti a garantire accesso alla rubrica dei contatti. Ottenuto l’accesso, il sistema manda le email ai vostri contatti: qualcuno che viene convinto a iscriversi ci sarà, e in questo modo LinkedIn ottiene più utenti. Secondo Brignull, questa tattica prende il nome di “Friend Spam”.

Ce ne sono altre, per esempio “Privacy Zuckering”, chiamata in onore del fondatore di Facebook: in questo caso un sito o un’azienda chiede molte più informazioni di quelle che servono per farvi usare i suoi servizi. Oppure la “Forced Continuity”, farsi dare i dati della carta di credito per la prova gratuita e non avvisare chiaramente che una volta finita la prova l’addebito sarebbe stato automatico.

Si può obiettare che in alcuni casi certe scelte forzate sono state fatte pensando all’utente finale (e, guardacaso, anche all’azienda che le impone). Per esempio, spesso l’auto che viene trovata dall’app di Uber è un’auto di lusso, quindi il passaggio diventa più costoso rispetto ad altre alternative: ma un’auto migliore è un vantaggio per il cliente, che fa un viaggio più comodo; e anche per l’autista, che guadagna di più dal servizio. Se è vero che in alcuni casi c’è un miglioramento del servizio per l’utente finale, è sicuramente consigliato offrire tutte le scelte disponibili.

Il sito Dark Patterns contiene una “wall of shame” di questi comportamenti, senza nascondere i nomi delle aziende che li compiono. È istruttivo e divertente osservarli tutti, ed essere pronti d’ora in poi a riconoscere i diversi metodi ogni volta che ne incontriamo uno.

Posted in:

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono segnalati con *